Chiesa di Sant' Antonio di Padova
Parrocchia Chiesa Santa Maria delle Grazie
La chiesa di Santa Maria delle Grazie (anticamente denominata del Gonfalone[1]) è un luogo di culto cattolico della città di Marino, in città metropolitana di Roma Capitale e sede suburbicaria di Albano. La chiesa è annessa alla struttura dell'ex convento dei Padri agostiniani.
La chiesa venne probabilmente edificata per volere della Confraternita del Gonfalone di Marino tra Trecento e Quattrocento come propria sede[1]: il 13 aprile 1580 la Confraternita cedette la chiesa e i terreni attigui ai padri Agostiniani, che edificarono il proprio convento accanto alla chiesa.[2] La facciata venne rimaneggiata nel 1634, con il contributo dell'architetto Vincenzo della Greca,[3] mentre il convento annesso invece subì evidenti restauri nel Settecento.
Nel 1807, con l'occupazione napoleonica dello Stato della Chiesa e l'annessione del Lazio alla Francia, vennero espropriati i beni ecclesiastici e il convento degli Agostiniani fu chiuso e dato in alloggio a privati. Nel 1815, con la caduta di Napoleone Bonaparte e il ritorno di papa Pio VII a Roma, i religiosi rientrarono in possesso di larga parte dei loro beni e del convento con l'annessa chiesa: gli Agostiniani rimasero a Marino fino al 1954.[2] Fra i religiosi agostiniani ospitati nel convento che lo scrittore Gaetano Moroni[1] menziona ci sono padre Gregorio Boezio, il marinese padre Agostino Bonacci e il romano padre Agostino Ussardi.
Nel 1954 la chiesa venne costituita parrocchia. Lavori di restauro alla facciata e all'interno furono effettuati nel 1964 e nel corso degli anni novanta, con il recupero del quartiere Borgo Garibaldi.
La chiesa ospita un dipinto raffigurante San Rocco, attribuito al Domenichino o a Mattia Farnese (1631 - post 1681) e in precedenza conservato nella cappella di San Rocco situata lungo la via Maremmana verso Grottaferrata; una copia di questo quadro è conservata presso la Basilica di San Barnaba. Tra le altre opere d'arte conservate nella chiesa ci sono un affresco con la Vergine delle Grazie attribuito a Benozzo Gozzoli.
Monastero Chiesa del Santissimo Rosario
La chiesa di Maria Santissima del Rosario (anticamente denominata "di San Domenico") è un luogo di culto cattolico di Marino, in città metropolitana di Roma Capitale e sede suburbicaria di Albano. È annessa al convento delle suore domenicane di stretta osservanza.
Il convento delle suore domenicane di stretta osservanza fu istituito da papa Clemente X con breve dell'8 maggio 1675. La fondazione fu promossa da madre Maria Isabella Colonna, al secolo Maria Antonia, suora presso il convento delle suore domenicane dei Santissimi Domenico e Sisto in Roma.
Il fratello di suor Maria Isabella, il duca Lorenzo Onofrio Colonna, assecondò la volontà della sorella e finanziò la costruzione del convento. Il 27 maggio 1675 il duca acquistò da tale Ferdinando Leoncelli alcune case, stalle e cantine sul piazzale di "For de Porta" per 2165 scudi; il 17 giugno 1676 Lorenzo Onofrio dotò il monastero di una rendita di 300 scudi annui. I lavori di sistemazione furono portati avanti rapidamente e già il 22 settembre 1676 suor Maria Isabella poté stabilirsi nel nuovo convento. La fondatrice morì a soli quarantotto anni, nel 1682.
I lavori per la costruzione della chiesa ebbero inizio il 2 marzo 1712 dietro disegno dell'architetto Giuseppe Sardi. I lavori terminarono il 30 aprile 1713.
La comunità delle "moniche rinchiuse", come sono familiarmente chiamate dai marinesi, è diventata nei secoli un punto di riferimento per la città. Durante i tragici eventi del 1944, presso il convento venne allestito un piccolo ospedale di fortuna.
Il 9 dicembre 2008 Vladimir Luxuria si è recato al Museo Civico Umberto Mastroianni per visitarvi la mostra allestita in memoria di Luciano Massimo Consoli, defunto presidente del circolo di cultura omosessuale di Roma. Nel corso della visita, l'ex-onorevole si è voluta anche recare in visita presso il convento.
La chiesa, di dimensioni non eccezionali, è tuttavia un pregevole esempio di rococò romano del primo Settecento, tanto da aver attirato la curiosità di insigni studiosi: si sviluppa con una pianta a croce greca sormontata da una cupola: l'interno è completamente rivestito di stucchi bianchi. Dietro l'altare, incastonato nel muro, è conservato un tabernacolo quattrocentesco attribuito alla scuola di Mino da Fiesole.
Il monastero invece risulta essere frutto dell'unione di vari corpi di fabbrica. L'architettura è volutamente spoglia, in coerenza con il carisma delle religiose: è stato perciò osservato che il monastero risulta grande, ma non grandioso
Chiesa dell'Acqua Santa di Marino
Il santuario di Santa Maria dell'Acquasanta o dell'Acqua Santa[(denominata nel corso dei secoli anche come Santa Maria dell'Orto,[2][3][4] Santa Maria d'Ammonte o anche Madonna del Sasso) è un luogo di culto mariano cattolico della città di Marino, nell'area dei Castelli Romani, in città metropolitana di Roma Capitale e sede suburbicaria di Albano.«I Marinesi, uomini e donne di fede, hanno "letto" la sorgente in mezzo al banco di peperino come un segno della benevolenza di Dio alla loro Città, concessa per intercessione di Maria e l'hanno ritenuta fonte di acqua miracolosa e santa. [...]»
(Dante Bernini, vescovo della diocesi suburbicaria di Albano, in Vincenzo Antonelli, La Chiesa della Madonna dell'Acquasanta in Marino, Veroli 1993, p. 3.)
L'immagine della Madonna venne probabilmente realizzata tra il IV ed il IX secolo, secondo la tradizione popolare attorno al VI secolo, come lasciano supporre le modalità di realizzazione riscontrate durante l'ultimo restauro del dipinto ed il fatto che le misure dello stesso siano agevolmente calcolabili in piedi romani.In seguito, l'immagine venne ridipinta tra il XII ed il XIV secolo e parzialmente rimaneggiata attorno al Cinquecento ed infine nel Settecento, quando l'orientamento dell'immagine venne adattato all'orientamento dell'altare.
Quando incominciò la venerazione dell'immagine la stessa doveva trovarsi in un'edicola stradale all'aperto, lungo l'allora strada pubblica che conduceva a Castel Gandolfo ed Albano Laziale, corrispondente all'attuale via Antonio Fratti. L'immagine era collegata all'abitato con una scala di trentaquattro gradini scavata nel peperino, che permetteva di evitare il ripido tornante della strada e che ancora oggi è visibile sul retro del santuario. La venerazione dell'immagine è legata anche ad un evento miracoloso riferito dalla tradizione popolare: si narra che un uomo, mentre si recava a cavallo sulla via Maremmana Inferiore in direzione di Castel Gandolfo ed Albano Laziale, perse il controllo dell'animale nei tornanti della strada e rischiava di cadere nel precipizio, se la Madonna non fosse intervenuta a salvarlo. Nei secoli successivi, altri miracoli vennero attribuiti alla Vergine dell'Acquasanta: nell'agosto 1883 l'alto prelato Pietro Rota,[11] arcivescovo di Cartagine e canonico regolare della basilica di San Pietro in Vaticano a Roma, fece realizzare un ex voto a Maria per ringraziarla di averlo salvato da una rovinosa caduta da cavallo nei sentieri a precipizio sul Lago Albano; e così molti altri episodi, anche piuttosto seri.
L'edicola venne visitata nell'estate 1260 o comunque agli inizi degli anni settanta del Duecento da san Bonaventura da Bagnoregio, cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Albano dal 1270 al 1274, che assorto in preghiera presso l'immagine mariana ebbe l'ispirazione per fondare l'arciconfraternita del Gonfalone di Marino.
Probabilmente nel Cinquecento l'edicola stradale venne inglobata nel primo nucleo del santuario, poiché nel catasto delle proprietà marinesi della famiglia Colonna del 1566 viene menzionata un "ecclesia"[9] dedicata alla Madonna "loco divotissimo".Nel corso del Seicento venne anche realizzata la canonica situata sopra la chiesa, poiché nel 1682 vi risultavano residenti tre eremiti. L'aspetto definitivo all'interno del santuario venne determinato dai lavori effettuati tra il 1693 ed il 1720: l'intero edificio, ad una navata, è scavato nel peperino e presenta resti di intonaco e costolonature.
L'altare rococò era stato già realizzato nel 1759, mentre due sacerdoti calabresi Giovanni Andrea e Nicola Fico finanziarono nel 1788 la costruzione dell'altare laterale del Santissimo Crocifisso, che venne successivamente utilizzato dall'Ordine Francescano Secolare, come testimonia lo stemma apposto sull'altare stesso. Nel 1792 i due sacerdoti calabresi finanziarono nuovamente il santuario, completando la torre della canonica con altri due piani e realizzando sopra di essa un campanile a vela di piccole dimensioni.
L'aspetto attuale della facciata del santuario è dovuto agli interventi finanziati nel 1819 da Francesco Fumasoni Biondi e commissionati all'architetto Matteo Lovatti, che realizzò qui una delle sue opere più celebrate e meglio riuscite.[18][19] Tra il 1823 ed il 1824 Massimo d'Azeglio, che in quel periodo soggiornava a Marino, eseguì una decorazione pittorica nella chiesa su commissione del Fumasoni Biondi, oggi perduta.
Nel 1926 il nobile Riccardo Tuccimei, enfiteuta del santuario all'epoca di proprietà del capitolo della basilica collegiata di San Barnaba, decise di demolire il campanile della chiesa, decisione che pur contestata dal Comune e dalla "Società dell'Acqua Santa" venne comunque messa in atto.
Negli anni ottanta del Novecento è stato eseguito sull'immagine sacra un restauro curato dall'architetto Vincenzo Antonelli, che ha condotto ad importanti risultati sotto il profilo storico e artistico.
La facciata ed il nartece
La facciata ed il nartece del santuario sono stati realizzati nel 1819 dall'architetto Matteo Lovatti, attivo nello stesso periodo anche a Velletri ed Albano Laziale ed insignito per i suoi meriti artistici dell'Ordine di San Silvestro Papa, con il finanziamento del canonico regolare della basilica di San Barnaba Francesco Fumasoni Biondi.
Il prospetto della facciata, neoclassico, è realizzato interamente in peperino, con un ingresso "in antis" (cioè scandito da due colonne tuscaniche) che sorreggono un architrave modanato sostenuto da mensola che corre lungo tutto il prospetto della facciata. La cancellata in ferro battuto che chiude il nartece all'esterno è stata collocata nel 1865, ed ora è sostituita con una vetrata
a tratti. Il perimetro dell'aula è attraversato da un robusto cornicione.
Nella parete destra si apre un taglio nel peperino, probabilmente un antico acquedotto che serviva la grotta vicina al santuario, che alcuni hanno ipotizzato essere un santuario romano o pre-romano, collocato in prossimità del Bosco Ferentano consacrato alla divinità indigena latina Ferentina.
Sulla parete sinistra, c'è una lapide di marmo apposta dai sacerdoti calabresi Giovanni Andrea e Nicola Fico nel 1788 a celebrazione del loro finanziamento per la costruzione dell'altare laterale del Santissimo Crocifisso
rimaneggiato in varie epoche: l'Ordine Francescano Secolare ad esempio fece apporre il proprio stemma in marmo bianco su campo blu nell'ovale del timpano. Tra il 1823 ed il 1824 lo stesso canonico Fumasoni Biondi che aveva finanziato la realizzazione della facciata donò all'altare un crocifisso ligneo a grandezza naturale e chiese a Massimo d'Azeglio, all'epoca villeggiante in Marino, di realizzare una cornice pittorica all'immagine sacra.[20] Peraltro il pittore, futuro presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia, venne aiutato nell'opera da due briganti rifugiatisi nel santuario per sfuggire all'arresto, segno che nel santuario era possibile avere diritto di asilo per i criminali comuni. Attualmente, sono andati perduti sia il crocifisso, probabilmente trasferito prima della seconda guerra mondiale nella basilica di San Barnaba e sostituito con un crocifisso ligneo policromo ottocentesco di medie dimensioni, che l'affresco. Lo storico marinese Girolamo Torquati ritiene che nel santuario fosse esposto in origine il Santissimo Crocifisso di Marino, immagine che iniziò a fare miracoli nel giugno 1635[26] e venne traslato nella chiesa della Santissima Trinità, dove ancora è custodito, dalla congregazione religiosa dei Chierici Regolari Minori nel giugno 1637.
L'altare maggiore, ricavato da un grande blocco di peperino isolato probabilmente nel Settecento,[24]ospita l'immagine mariana incorniciata da festoni e volute di stucco,[16] e sormontati da due timpani spezzati al centro dei quali si legge l'iscrizione in lingua latina: "apud Te est fons vitae - Psal XXXV" ("presso di te è la fonte della vita", salmo 35"). Sui due timpani, sono collocate due statue di piccole dimensioni raffiguranti bambini riccioluti: al centro, un piccolo tondo raffigurante Dio e lo Spirito Santo sta a rappresentare, in collegamento con il Bambino Gesù sottostante, la Trinità
L'accesso alla sacrestia è dato da una porta in bronzo opera recente del pittore e scultore marinese Stefano Piali (2005), che raffigura il miracolo della Madonna dell'Acquasanta. Gli stipiti in peperino della porta sono antichi.
Il locale della sacrestia è una stanza rettangolare dal soffitto con volta a padiglione coperto da stucchi del Settecento ora in gran parte rovinati. Fuori della sacrestia c'è un giardinetto, che lo studioso Vincenzo Antonelli ipotizza essere stato l'"orto" che diede la prima denominazione al luogo di culto: qui è collocata la scala scavata nel peperino che costituiva l'accesso originario all'immagine mariana prima della costruzione della chiesa
Sopra la chiesa si eleva una torre a due piani, già esistente nella seconda metà del Cinquecento e sopraelevata alla fine del Settecento. Al culmine della torre sorgeva un campanile a vela di piccole dimensioni, demolito negli anni venti: delle due campane ivi collocate, una è andata dispersa, mentre l'altra viene ancora utilizzata all'interno del santuario. Entrambe furono fuse nella stessa data di realizzazione del campanile, 1792, grazie ai finanziamenti dei summenzionati sacerdoti calabresi Giovanni Andrea e Nicola Fico.
Chiesa della Santissima Trinità di Marino
La chiesa della SS. Trinità, un tempo chiamata anche chiesa del Crocifisso, è uno dei principali edifici sacri di Marino non solo per le sue dimensioni, ma anche per le testimonianze storiche e artistiche che la caratterizzano.
Si erge lungo corso Vittoria Colonna, uno dei più importanti tracciati viari della città, sul lato sinistro della strada provinciale in direzione di Grottaferrata e Frascati, al limite estremo del centro abitato, qual'era all'inizio dell'età moderna, prima della comunale villa Colonna a Belpoggio.
A differenza della coeva basilica collegiata di San Barnaba, la cui fabbrica si erge isolata e assai più imponente, come si conviene ad un duomo, la chiesa della SS. Trinità è inserita e quasi si confonde fra gli edifici civili, nonostante abbia un prospetto slanciato. Inoltre, rispetto alla basilica, che è pure la principale parrocchia di Marino, la chiesa può vantare fin dalla sua fondazione un proprio stato giuridico e una funzione autonoma che per secoli l'hanno contraddistinta.
Origini e fondazione
L'edificio sacro venne realizzato nella prima metà del XVII sec., periodo- aureo della crescita urbana e civile di Marino, avviata e in gran parte realizzata al tempo di Filippo Colonna, che resse la città dal 1611 al 1639. Figlio di Fabrizio e di Anna Borromeo, una nipote del famoso cardinale milanese Federico, Filippo (1578-1639), primo della famiglia con questo nome e terzo a portare il titolo di duca di Marino, sposò la nobildonna napoletana Lucrezia Tomacelli.
Egli in quasi un trentennio contribuì a trasformare Marino ancor più di quanto avessero fatto Marcantonio e Ascanio Colonna, fino a farla diventare così come oggi ancora in gran parte la vediamo: la sistemazione definitiva di palazzo Colonna, della piccola piazza Lepanto con la Fontana dei Mori, del Borgo delle Grazie, la creazione
della villa Bevilacqua sulla via Romana e di quella a Belpoggio, contigua alla chiesa della SS. Trinità, di cui resta oggi una piccola porzione adibita a villa comunale.
Il nuovo volto urbano di Marino venne pienamente realizzato dal successore Girolamo Colonna, ma le premesse e i progetti si devono in gran parte al duca Filippo, come per la basilica di San Barnaba, che fu compiuta oltre un ventennio o dopo la sua morte.
All' espansione urbana, iniziata a Marino nell'ultimo trentennio del Cinquecento, corrispose un incremento demografico della città, come pure risulta dai registri delle parrocchie di Santa Lucia e di San Giovanni. Molti artigiani e operai giunsero da ogni parte d'Italia attratti dalle possibilità di lavoro offerte in quegli anni da Roma, ma anche dai suoi più vicini centri laziali.
Fra i molti che arrivarono a Marino in quel periodo, a cavallo dei due secoli, vi fu un tale sacerdote don Pietro Gini, nativo di Varese, il quale con suoi denari fece edificare una prima e più modesta chiesa di quella attuale e già allora volle dedicarla alla SS. Trinità, poiché secondo quanto viene narrato il prete avrebbe ricevuto un quadro rappresentante appunto il Mistero della divina Trinità dalle mani di Guido Reni, eminente maestro della pittura italiana del tempo, in cambio dell'ospitalità concessa all'artista durante un suo soggiorno a Marino. Molto più probabilmente la scelta sarà stata dettata dalla divulgazione di motivi teologici e dottrinali seguiti al dibattito conciliare postridentino.
Poiché questa prima chiesa era stata costruita a spese di don Pietro Gini, costui ottenne per sé il diritto di patronato sul sacro edificio con un breve concesso da papa Clemente VIII in data l marzo.
1603. Diritto che egli volle venisse successivamente revocato nel 1614 a favore dell'Ordine dei Chierici Regolari Minori di San Lorenzo in Lucina a Roma, detti pure brevemente Caracciolini dal nome del loro fondatore san Francesco Caracciolo.
A questi religiosi donò pure la chiesa, la proprietà di una casa annessa e un lascito di 1.500 scudi, con regolare testamento del 25 giugno 1614, registrato dal notaio Fabrizio Zuccoli di Marino. Poi con un altro testamento del 21 settembre, stesso anno e stesso notaio, il padre Gini istituiva inspiegabilmente suo erede universale Filippo Colonna, duca di Marino e quindi moriva il 26 ottobre successivo. La donazione andò ad effetto comunque a favore dei Caracciolini, grazie anche all'interessamento di papa Paolo V, il quale, con un breve pontificale del 30 gennaio 1615, confermò la dote stabilita della casa e della chiesa, che fu definitivamente assegnata ai religiosi con l'istrumento dell'11 giugno 1615, a condizione che tutti i beni sarebbero tornati di proprietà dei Colonna, qualora i religiosi avessero deciso di andar via da Marino. Ai monaci fu pure concessa un'oncia d'acqua della pubblica fontana.
Tuttavia sembra che i Caracciolini siano stati chiamati a Marino fin dai primi anni del Seicento da Fabrizio Colonna e dalla moglie Anna Borromeo e non quindici anni dopo dal loro figlio il duca Filippo, come tramandano le memorie dell'Ordine religioso. Ciò al fine non solo di coadiuvare il clero secolare delle due parrocchie medievali di Santa Lucia sulla rocca del castello e di San Giovanni al Castelletto, ma anche per diffondere la dottrina cattolica fra la popolazione marinese di circa tremila anime, ritenuta a quel tempo numerosa, secondo le direttive catechistiche stabilite dal Concilio di Trento.
Di frequente i religiosi effettuavano missioni nella diocesi di Albano, inviati dal cardinale Sfondrato, che li chiamava "suoi Apostoli". Inoltre questi presero a farsi benvolere dalla popolazione di Marino, tanto che questa iniziò a supplicare le autorità civili ed ecclesiastiche, affinché intercedessero presso il papa per riceverne il breve di conferma. Dopo averlo ottenuto, come si è detto, e due giorni dopo il regolare istrumento, il 13 giugno 1615, festa della SS. Trinità, undici confratelli provenienti da Roma solennizzarono doppiamente quella giornata nel porsi al servizio della comunità marinese, presso la quale restarono per circa due secoli.
Tuttavia già nell'anno 1635 i Chierici Regolari Minori avvertirono la ristrettezza dello spazio messo loro a disposizione venti anni prima e quindi meditarono di edificare una nuova chiesa e una nuova casa, che realizzarono, come dice il Torquati, "a loro proprie spese e con la liberalità del popolo di Marino"; mentre dalla Notizia Historica che contiene le memorie dell'Ordine, si viene a sapere che "Non essendo però la picciolezza della chiesa bastante alla confluenza del Popolo, se n'edificò un'altra più capace, e più bella in sito più nobile, e commodo, dove al presente si ritrova colla casa contigua, la cui struttura come opera della beneficenza commune, che vi contribuì con liberalità divota, ferve non meno di splendore al luogo, che di monumento perenne alla pietà di quel popolo".
Il terreno, ove poi venne fabbricata la nuova casa e la Chiesa, i Chierici l'acquistarono da tale Giacomo Grassi, mediante una permuta della loro casa, con istrumento rogato per gli atti del notaio Marco Antonio Terziani del 22 gennaio 1635, previo placito apostolico spedito il 2 settembre 1634. In seguito i religiosi acquistarono altri piccoli appezzamenti di terreno confinanti, ma il 27 marzo 1635, fu posta la prima pietra dell'attuale chiesa della SS. Trinità, come pure risulta dall'atto redatto dal notaio Cherubini nella stessa data. L'edificio sacro non era ancora terminato che il 14 giugno 1637 fu trasferito nella seconda cappella a sinistra, per chi entra, un miracoloso Crocifisso dipinto su peperino, di cui si dirà oltre. Narra il Torquati che il relativo masso di pietra fu collocato alla meno peggio nello spazio destinato.
L'edificio fu concluso presumibilmente intorno al 1640, anche grazie al contributo del padre generale dell'Ordine Filippo Sante Bargagli, tuttavia ancora nel 1717 papa Clemente XI donò 600 scudi per la costruzione dell'abside; mentre la sacrestia fu realizzata a spese del padre generale dei Caracciolini Battista Bassaletti; il refettorio, il coro, due cantine e il cortile furono realizzati dal padre generale Giovanni Matteo vescovo di Murcia e Cartagena; poi ancora il padre Antonio Lopez fece fare gli stucchi della Chiesa e la gradinata esterna; il padre Emanuele Lopez fece fabbricare l'appartamento sopra la sacrestia, i gradini dell'altare maggiore ed altre opere. Nel 1747 l'ambasciatore del Portogallo, il commendatore Emanuele Pereyra de Sampajo contribuì all'edificazione dell' appartamento a levante, ove fu ricevuto il 17 giugno 1749 il papa Benedetto XIV, che vi pranzò con il suo seguito. A memoria di tale avvenimento fu apposta poi una lapide.
Da parte sua il duca di Marino Filippo II, figlio di Lorenzo Onofrio Colonna, concesse ai religiosi il 2 luglio 1713 una consistente striscia di terreno che scorporò dalla villa di Belpoggio realizzata dal suo omonimo antenato, in cambio di un riconoscimento simbolico del debito, pari a due libbre di cera l'anno. L'atto di concessione, registrato dal notaio Zuccoli di Marino e poi Damiani di Albano, consentiva ai Chierici di poter disporre di un terreno sufficiente al proprio sostentamento diretto o indiretto.
L'appezzamento di forma molto allungata e in forte pendio coincide pressappoco con l'attuale fascia di case popolari, che si elevano lungo via Monsignor Grassi, sul terreno retro stante la Chiesa della SS. Trinità e digradante fino alla quota sotto stante di piazza Europa, divenuto di proprietà del Comune di Marino a seguito della confisca dei beni ecclesiastici non parrocchiali dopo il Venti Settembre del 1870.
Nel 1703 della cappella della Madonna di Ogni Bene venne ceduto il diritto di patronato a don Patrizio Silvestri e altrettanto di un'altra cappella nel 1740 a favore del facoltoso marinese Emilio Marchetti. La Chiesa inoltre disponeva anche di una cripta, nella quale trovarono posto le tombe di alcune illustri famiglie del luogo, come i Fumasoni, i Marchetti, e i Silvestri.
L'organizzazione dell'istruzione e il Collegio gregoriano
Tra la fine del Seicento e i primi anni del secolo seguente sia le istituzioni che le famiglie meno abbienti avvertirono la necessità di una più diffusa istruzione. Comparvero nuovi istituti scolastici religiosi, come i Fratelli delle Scuole Cristiane (1702), detti pure i Carissimi. Così pure non furono più soltanto i figli maschi a beneficiare del generale processo di alfabetizzazione, che si estese progressivamente anche alle figlie femmine. Pertanto nel 1688 a Roma fecero la loro comparsa le suore Orsoline e nel 1707 iniziò la sua preziosa opera didattico religiosa il nuovo e dinamico istituto delle Maestre Pie Venerini che, a Marino, giunsero ad aprire una casa con scuola popolare il 15 agosto 1732.
Considerando complessivamente carente l'istruzione superiore il consiglio comunale di Marino stipulò una convenzione il 30 dicembre 1766, atto notaio Fiorelli, con i Caracciolini per l'istruzione della pubblica gioventù. Per tale servizio i religiosi ricevettero dal Comune 80 scudi annui per la retribuzione ai maestri e per sostenere le spese del mantenimento dei locali. In cambio i Chierici Regolari Minori si obbligavano a fornire tre maestri, uno per la scuola dei rudimenti, cioè elementare, il secondo per la grammatica e la retorica, il terzo per la filosofia.
Con il passare degli anni i religiosi tennero sempre meno fede alla convenzione, al punto che nella seduta consiliare del 9 settembre 1818 i rappresentanti pubblici riferirono della totale disorganizzazione della seppur esile struttura scolastica gestita dai Caracciolini. Inoltre denunciarono l'inosservanza degli obblighi assunti dalla controparte che praticamente aveva smesso l'attività didattica per mancanza di maestri.
Nella successiva seduta del 16 novembre si decise di indire un concorso per soli due maestri, il primo insegnante di studi inferiori con lo stipendio di 90 scudi annui, il secondo di studi superiori, pagato con 110 scudi l'anno. I nuovi maestri appena nominati non riuscirono, con la generale protesta delle famiglie, a far fronte a tutte le domande dei giovani marinesi che chiedevano di essere istruiti a quella scuola istituita dal Comune nei locali dei religiosi.
Il priore del Municipio, Lorenzo Ingami, nella seduta del 17 dicembre 1828 proponeva di avanzare una istanza al Santo Padre per la soluzione dell'annoso problema dell'istruzione pubblica a Marino, richiamando i Chierici all'osservanza del contratto. Istanza che fu effettivamente inoltrata al papa tramite il cardinale Bertazzoli, prefetto degli studi, e per conoscenza anche a Piccadori, proposito generale dei Caracciolini. Ci furono anche numerosi incontri fra autorità ecclesiastiche e fra queste e la comunità locale. La situazione non si sbloccava, mentre gli anni passavano. Il consigliere Cesare Paiella propose allora in seduta di vendere la casa per pubblico beneficio, qualora i religiosi continuassero nella loro inerzia. Le promesse di Piccadori si protrassero di anno in anno, fino al 1835, quasi sempre disattese, finché intervenne di persona papa Gregorio XVI, il quale invitò i Chierici Regolari Minori, privi di validi elementi per gestire l'insegnamento e per assumersi impegni che non potevano materialmente mantenere, a consegnare la Chiesa, l'annesso convento con la biblioteca, i mobili e tutte le altre suppellettili ai Padri della Dottrina Cristiana, detti pure Dottrinari. Di tale decisione veniva informato immediatamente il cardinale vescovo di Albano.
Finalmente ad ottobre dell'anno 1835 fu riaperta la scuola ai giovani marinesi, un'azione direttamente conseguente alla lettera apostolica del 3 luglio di quello stesso anno, con la quale il papa elevava Marino al rango di città.
In seguito Gregorio XVI tornò sull'argomento istruzione pubblica il 12 dicembre 1837 con una lettera indirizzata al cardinal Mattei protettore di Marino, nella quale il papa destinava in perpetuo al Comune di Marino tutto l'immobile rilevato ai Caracciolini e consegnato in gestione ai Dottrinari, con l'impegno di mantenere l'edificio e di non destinarlo ad altre attività diverse da quelle scolastiche, per il quale il collegio era nato.
Fu aperto un convitto per i giovani dagli otto ai quindici anni e si introdusse nel collegio una ferrea disciplina regolata da un rettore, che disponeva a suo giudizio circa l'orario, le materie insegnate, il modo di vestire durante le stagioni, i provvedimenti disciplinari e tutte le norme relative alle pratiche religiose svolte in comunità o singolarmente, come l'apprendimento del catechismo e la partecipazione alla santa messa.
Le materie insegnate erano: la grammatica, l'umanità, la retorica, la filosofia e la teologia, mentre il corso scolastico completo era articolato in cinque cicli didattici, o scuole. Al livello più basso era la scuola dei primi elementi della durata di quattro anni e vi si insegnavano la lettura e la scrittura sia in italiano che in latino. Poi c'era la scuola di grammatica inferiore della durata di due anni, suddivisi in classe infima e classe suprema, nella quale si apprendevano il latino, la geografia e l'aritmetica. Seguiva la scuola di grammatica superiore, anche questa suddivisa in due classi, dove il programma del biennio precedente veniva approfondito ulteriormente con l'aggiunta dell'ortografia, della storia greca e romana e dello studio degli autori classici latini. Al quarto livello era la scuola di umanità e retorica, dove si approfondiva e si affinava la cultura classica. Per ultima la scuola di filosofia che in un biennio consentiva di conoscere prima la logica, la metafisica e la matematica, poi la fisica e l'etica. Nelle esposizioni, sia da parte dei docenti, che degli allievi, si usava correntemente il latino, mentre solo per la matematica e per la fisica si usava l'italiano .
Per decenni i Dottrinari si adoperarono per l'istruzione e per l'educazione della gioventù marinese e non soltanto di questa, dal momento che giungevano al collegio gregoriano studenti da altre parti della Comarca. Da qui uscirono molti professionisti e gran parte della classe media del tempo. La scuola godeva di una notevole reputazione, di cui si trova traccia, anche a distanza di molti anni dalla forzata soppressione, nei dibattiti dei consigli comunali.
Tanto fu il beneficio ricevuto dalla città con l'istituzione di questo complesso scolastico che i marinesi non mancarono di esprimere la loro gratitudine apponendo un'epigrafe sul fronte del collegio che così recita: GREGORIUS XVI P.O.M.! COLLEGIUM MARINENSEI INSTITUITI ANNO MDCCCXXXV. Quindi il Comune ingrandì e abbellì i locali del collegio portando la scuola a ottimi livelli di accoglienza e di istruzione medio alta, rendendo quello di Marino per importanza uno dei primi istituti della provincia.
Il primo rettore della scuola fu tale don Raimondo Cesaretti. I Dottrinari restarono a Marino fino al 1871. Infatti con la promulgazione della circolare luogotenenziale del 2 dicembre 1870 le amministrazioni comunali vennero invitate ad entrare in possesso di tutti i lasciti a beneficio della pubblica istruzione. Essendo stati invitati ad andarsene con le buone e poiché i Dottrinari non intendevano farlo, nella seduta del 7 agosto 1871 i consiglieri rivendicarono, tramite il tribunale di Roma la requisizione dell'edificio adibito a collegio, della chiesa, delle suppellettili e di ogni genere di rendita connessa .
La furia laicista delle prime amministrazioni liberali e massoniche soppresse ciecamente e incoscientemente la scuola, senza sostituirla con nessuna altra forma di istruzione e, in tal modo, disperse un importante patrimonio culturale, cui i successivi pubblici amministratori non hanno mai voluto o saputo porre riparo (5).
In tal modo i Padri Dottrinari dovettero lasciare Marino, mentre tutto il complesso venne occupato da uffici comunali, abitazioni di impiegati pubblici e aule di scuole elementari. La chiesa fu abbandonata a se stessa, e nei verbali pubblici non compare più come l’edificio sacro dedicato alla Santissima Trinità, o al Crocifisso, ma come la "chiesa comunale del collegio". Di quando in quando il Comune provvedeva ad affidare a qualche sacerdote l'incarico di svolgervi i riti sacri.
Nel 1884 gli uffici comunali si trasferirono nella nuova sede prospiciente la piazza del Municipio, oggi piazza Matteotti, ed il Collegio in gran parte restò disabitato e abbandonato. Poi il 15 gennaio 1919 il marchese Achille Fumasoni Biondi acquistò per £. 60.000 l'immobile donato da papa Gregorio ai marinesi poco meno di un secolo prima! Lo scopo dell'amministrazione locale era quello di favorire l'istituzione di una scuola privata di tipo tecnico commerciale e agrario. Tuttavia appena qualche mese dopo la vendita il nuovo proprietario ricevette dal Ministero della Guerra £. 85.000 per i danni causati dal passaggio di truppe durante il periodo bellico 1915-1918. Al marchese fu pure concesso di far officiare nella chiesa della SS. Trinità e di restaurarla, come avvenne effettivamente nel 1920, pur rimanendo il Comune proprietario del solo edificio sacro.
Il collegio, anch'esso restaurato, fu dato dal marchese in gestione per un decennio ai Padri Giuseppini per l'istruzione superiore della gioventù marinese. A sua volta il 29 gennaio 1930, atto notaio Filodoro, il Comune riacquistò dal marchese per la "modica" cifra di £. 650.000 i terreni annessi e l'edificio, che nel frattempo era ormai chiamato nell'uso comune e negli atti pubblici "Palazzo Fumasoni Biondi", o "Convitto Maria Fumasoni Biondi" dal nome della consorte del nobiluomo. Nel 1930 i Giuseppini lasciarono Marino, anch' essi come i Dottrinari scacciati dall'amministrazione comunale, e trasferirono nel vicino Comune di Albano l'istituto "Leonardo Murialdo". Il Comune di Marino, lasciando la chiesa alla sua funzione religiosa, utilizzò variamente l'antico collegio gregoriano, insediandovi uffici e, di nuovo, le scuole elementari, con il progetto di trasferirvi la Regia Scuola d'Arte, intitolata all'incisore marinese Paolo Mercuri. Tuttavia, sebbene fossero stati fatti diversi lavori di adattamento negli anni successivi, la Scuola d'Arte rimase per molti decenni ancora nelle aule di palazzo Colonna. Il complesso fu adibito anche a centro per la colonia estiva intitolata a Sandro Mussolini, durante il regime fascista. Negli anni dell'ultimo dopoguerra vi fu ospitato l'Istituto Tecnico Commerciale "Michele Amari", trasferitosi poi, circa venti anni fa, in località Pantanella, oggi nel Comune di Ciampino. Intorno al 1979 il collegio gregoriano fu definitivamente chiuso, perché fatiscente. Verso la fine degli anni Ottanta il Comune, ottenuti i finanziamenti per il restauro dell'immobile, iniziò i lavori che si sono conclusi non più di tre anni fa. Solo allora la Scuola Statale d'Arte "Paolo Mercuri" ha potuto trasferirvisi, facendo tornare il fabbricato alla sua antica funzione.La chiesa
Chiesa Santa Rita da Cascia
La chiesa parrocchiale di Santa Rita da Cascia è il principale luogo di culto cattolico di Cava dei Selci, frazione del comune di Marino, cittadina dei Castelli Romani, in città metropolitana di Roma Capitale e sede suburbicaria di Albano.
Il progetto, datato al 1976,[2] è opera dell'architetto Sandro Benedetti.
L'abitato di Cava dei Selci nacque nel secondo dopoguerra[3] intorno ad una cava di selce dismessa, tra l'altro importante sito di estrazione del materiale di costruzione degli argini del fiume Tevere. L'area, in precedenza scarsamente antropizzata,[3] si era venuta a trovare in posizione favorevole nei collegamenti con Roma grazie all'incrocio tra le Tranvie dei Castelli Romani (tratta Roma-Albano, aperta nel 1906 e dismessa nel 1965), la ferrovia Roma-Velletri (stazione di Casabianca, poi anche stazione di Santa Maria delle Mole) e la strada statale 7 Via Appia. Simmetricamente, dall'altra parte dell'Appia nacque l'abitato di Santa Maria delle Mole, il cui nucleo fu una cooperativa agricola (che diede vita al toponimo).
La chiesa si doveva inserire in uno spazio individuato in un'area intensamente urbanizzata dal nulla negli anni Sessanta e Settanta, peraltro condizionata in altezza dalla presenza del cono di volo del vicinissimo aeroporto "Giovan Battista Pastine" di Roma-Ciampino.[1]
L'architetto Sandro Benedetti pensa di realizzare un'aula liturgica coerente con i dettami del Concilio Vaticano II, in grado di riunire lo spazio dei fedeli e lo spazio del clero.[1] La pianta è ottenuta dalla sovrapposizione di due croci greche, l'una ruotata rispetto all'altra di 45°.[1] La stessa pianta, ridotta, viene proposta per la copertura del tiburio centrale, punto focale della chiesa.[1]
All'esterno la chiesa appare come un massiccio insieme di torri ispirate alle cattedrali medioevali,[1] nettamente diverse dalle circostanti case degli uomini (più basse).[1] La chiesa sembra così "dare forma, materia e consistenza ai simboli della chiesa fortezza, Montagna Sacra e luogo della luce del Cristo" (Benedetti).
Benedetti riproporrà un modello analogo a quello di Cava dei Selci, seppur con maggior libertà di spazi, nella chiesa dei Santi Gioacchino e Anna (progetto 1979, realizzazione 1982-1984) a Torre Maura, zona urbanistica del comune di Roma, struttura che ottenne una menzione d'onore all'InArch regionale del Lazio del 1990.